Emiliano De Bianchi, Sport and Fitness Manager
Emiliano De Bianchi, Contatti
Notizia 13/08/2020

PRE-POST, RIFLESSIONI DI UNA NOTTE DI MEZZ'ESTATE






Avete (abbiamo) proprio rotto il cazzo!...
Bene, detto questo, procediamo.

Non è da me utilizzare metafore così espressamente appartenenti al “vulgo” ma comunque, premesso che non me ne frega una beneamata, proverò lo stesso a dare un senso all’incipit.


È da diverso tempo, ad essere esatti dai primissimi giorni della quarantena, che la parola che più si sente pronunciare, e scrivere, è “cambiamento”.
Un sostantivo maschile, questo, che deriva dalla parola “cambiare”. Alcuni sinonimi (per i meno attenti alle medie invito a cercare su Google il significato di sinonimo…fatto? Bene andiamo avanti allora) possono essere, ad atto ed effetto del diventare diverso: “cambio”, “cangiamento”, “mutamento”, “tramutazione”, “trasformazione”, “variazione”… insomma, definisce qualcosa che cambia, che è già cambiato o che sta per farlo. In sostanza, che passa da uno stato ad un altro. Mi pare chiaro no?

Questa parola è stata utilizzata da tutti, a tutti i livelli ed in ogni ambito: sociale, culturale, economico, di prevenzione della salute, turistico, nell’agricoltura e chi più ne ha più ne metta. E, pensate un po', anche nel mondo delle palestre.
Tutti hanno potuto, riempiendosi i polmoni e con lo sguardo dritto all’orizzonte, inebriarsi al suono emesso dalle proprie corde vocali pronunciando le sillabe “Cam-bia-men-to”... che delizia.
Utilizzata dai politici (è gente che viene eletta da noi col solo scopo di potercela prendere con loro e dirgli che non capiscono un ceppa…cazzo li voti a fare se non ti piacciono?), dagli opinionisti (sarebbe gente che viene pagata per dire in televisione quello che pensa di cose che non conosce), dai giornalisti (sarebbero persone che invece vengono pagate per scrivere quello che non pensano), dalla gente comune (quelli che durante il lockdown avevano tre cani che portavano a pisciare dodici volte al giorno, correndo e facendo pure la spesa mentre suonavano dai balconi), da medici, ed anche, pensate un po’, da proprietari e consulenti dei centri fitness.
A tutti, ma proprio a tutti, ha fatto comodo parlare di cambiamento. Ma poi? Cos’è “cambiato”…? Il di cui sopra menzionato al primo rigo.
Senza andare a scomodare tutte le sopracitate categorie e con il solo scopo di condurre il discorso al nostro settore, rifaccio la domanda: “Cosa è cambiato” nel mondo del fitness?
Per ogni cambiamento si presuppone un punto di svolta. Questo è sempre determinato da uno shock o da un qualcosa che genera, a cascata e nel tempo, una serie di adattamenti che portano ad un conseguente “cambiamento”.
Due esempi tanto per citarli: nel primo caso, immaginate di poter chiedere alla Regina Maria Antonietta d’Asburgo: “Maestà, in che modo pensa cambierà la Francia dopo la caduta della monarchia e l’istituzione della democrazia?”...zack…canestro… domande che fanno perdere la testa (e pensare che la poveretta era pure austriaca).
Altra cosa, pensate a Facebook per esempio. Quanto, nel giro degli ultimi dieci anni, ha cambiato il modo di comunicare, ma soprattutto, gli usi e i costumi di miliardi di persone in tutto il mondo? Grazie a Facebook oggi tutti hanno una vita più finta e gratificante… l’Ordine degli Avvocati Civilisti ringrazia.

Ma voglio arrivare a un punto, cioè che il cambiamento è prima che nei fatti, uno spostamento “culturale”, di pensiero, di approccio alle cose che e in tutti i cambiamenti c’è sempre un “prima” e un “dopo”.
È innegabile che il COVID ha istituito un punto di svolta. Oggi infatti si dice “prima del COVID” e “dopo il COVID” (anche se il dopo non è ancora arrivato…lo dico così per un mio amico complottista).

Nel nostro mondo, cioè quello del fitness, come eravamo prima? A quali modelli ci eravamo ancorati e quali erano le soluzioni adottate da quei modelli? Quali erano le strategie commerciali che venivano proposte per portare linfa (soldi) nei club? Ma soprattutto come vogliamo essere dopo (cioè adesso)?

Senza entrare nell’annoso tema dell’associazionismo sportivo che si spaccia come professionale (di per se un paradosso in termini), prima del COVID si vendevano abbonamenti annuali pensando al lungo periodo, e dopo?… uguale, o meglio si aspira alla stessa cosa.
Prima del COVID si vendeva il tutto compreso immaginando che più si offriva ad un prezzo contenuto più si vendeva, oggi invece si parla di… la stessa cosa.
Prima si avvicinavano le persone con sistemi di offerta del tipo “solo per oggi” (che era pure domani e dopodomani) ... oggi uguale ma con ancora più sconto visto che c’è stato il COVID.
Poi le politiche di scontistica a scalare. A quelle del “porta un amico che ti regalo un mese” (…e se ti porto un’amica che mi regali la macchina?).
Bene! Funzionava. Più o meno, ma funzionava. Poteva piacere o no ma era un sistema che aveva una ben fissata unità di misura, cioè il tempo, ed una spinta verso una percezione del servizio che, troppo spesso, era legata al prezzo.
Oggi quei due paradigmi, tempo e percezione del servizio, non sono più gli stessi.
Il primo perché ad oggi, parliamoci chiaro, un abbonamento di dodici mesi è quantomeno complesso da ipotizzare per un cliente, un po’ per i soldi, un po' perché col COVID non si sa quello che succede (metti che chiudono per due o tre settimane tutta la città per far riposare quei venti deficienti che sono andati in vacanza in luoghi poco consigliati e sono tornati col souvenir?).
L’altro ci abbiamo pensato noi a farlo cambiare durante la quarantena quando ci siamo riscoperti novelli Kubrick ed abbiamo sdoganato il pensiero che è possibile avere, più o meno la stessa cosa, anche non in palestra ma davanti ad un monitor di PC. E allora perché non al parco? O in spiaggia? O al parcheggio della parrocchia?

Allora? Dov’è? Lo chiedo a tutti quelli che professavano una rinascita del settore attraverso il “cambiamento”. Lo chiedo a tutti coloro che consulenziano club e centri più o meno grandi ma che ad oggi non hanno dato strategie né tantomeno (e qui mi sale la bile) “strumenti” utili ed applicabili. Cavolo Settembre è domani!

Attenzione, non è pessimismo il mio né disfattismo ma solo la volontà di parlare chiaro e invitare ad una riflessione, per quanto complessa e profonda, su quello che andiamo raccontando in qualità di consulenti. Ai proprietari prima e ai clienti finali poi.

Signori miei, tanto per essere chiari, sarà un inizio di stagione molto ma molto complicato. Primo perché si viene fuori da quattro mesi di mancati incassi ma con le spese da pagare (per esempio), quindi se non hai un gruzzoletto da parte per investire nel riadattamento dei servizi e nel marketing, rischi di non arrivare al panettone.
Secondo perché, non so se accendete ogni tanto la televisione, le normative sui distanziamenti sociali rimarranno più o meno le stesse almeno fino ad Ottobre (vacanzieri permettendo ovviamente). Questo vuol dire che se prima potevi tenere trenta persone in una sala, accalcate come sul metrò alle otto di mattina, ora ce ne metti dodici o tredici (ovviamente se rispetti le distanze).
E qui invito anche gli utenti a fare attenzione a promesse del tipo “qui da noi non avremo problemi con le distanze”, oppure “tranquillo troverai sempre posto e non dovrai prenotare”…non è così, bugiardo maledetto! E voi mi direte: “si ma io vado lì che è un centro grande”. Mi dispiace ma in questo caso le dimensioni non fanno la differenza (finalmente un settore dove se ce l’hai piccolo o grande è uguale…intendo lo spazio fitness ovviamente), perché più è grande il club e di più persone ha bisogno per stare a galla. Quindi il rapporto è lo stesso.
Terzo perché prenotazioni, temperatura, registro firme, cambio delle scarpe, gestione degli spogliatoi, sanificazioni varie dovranno continuare ad essere ben presenti (e sono pure un bel costo).
Insomma alla luce dello shock subito siamo in grado di immaginare soluzioni più etiche e adatte al nuovo contesto?
Penso ad esempio ad una riduzione dei periodi di abbonamento. Questo non vuol dire rinunciare ad incassi più stabili ma al contrario prevedere un sistema di rinnovo a giro più stretto. Un mese? Due? Tre? Non lo so ma sicuramente sarebbe più corretto verso i clienti e questo già di per sé è un vantaggio. Nemmeno per gli incassi che sarebbero più spalmati. Prendi un anno, lo dividi per dodici e poi decidi quanti mesi comprarti. Semplice, etico e sano.
Penso alla realizzazione di programmi specifici che abbiano una specifica durata, frequenza settimanale e soprattutto un prezzo chiaro ed equo.
Penso al coinvolgimento diretto dei trainer attraverso “premi di produzione” e “premi di realizzazione” (che non necessariamente sono in danaro…certo che quello fa sempre la differenza però) attraverso i quali finalmente diventino anche loro “il club” e non una sua parte meccanica.
Penso a tutta la formazione che dovrebbe essere rivolta ai trainer di tutti i livelli al fine di dare loro strumenti e renderli più capaci di essere una parte concretamente attiva dei club per il quali lavorano. Invece no, che si continua a fare? Si dedica il cento per cento del tempo al solo reparto commerciale che spesso e volentieri non sa nemmeno di cosa parla, e non certo per colpa propria.
Certo che poi anche noi trainer come categoria non è che siamo proprio “elastici” ad imparare qualcos’altro di utile…la palestra non è solo squat, bench-press, amrap e compagnia cantante…”ma io sono un tecnico mica un venditore!”…idiota, se è così allora chi meglio di te potrebbe parlare di qualcosa in questo settore? (…il problema è che spesso manca la base…la parola).
Penso alla riscoperta di fasce orarie più definite e ristrette o addirittura lezioni, tipo un orario o una classe, che ne so dalle diciotto alle diciannove. Per esempio: “vieni tutti i giorni che vuoi ma dalle – alle” oppure 'compri un corso e hai il tuo posto riservato sempre'.
All’organizzazione di un sistema che incentivi chi usufruisce del solo servizio personalizzato. Il che non vuol dire deprezzare il servizio (lo dico prima che venga frustato in piazza da un branco di colleghi armati di forconi), ma solo renderlo più fruibile, e di modi ce ne sono tanti. Solo questo già ottimizzerebbe gli accessi alla struttura.

Sono, è chiaro, solo alcune riflessioni, e ovviamente nemmeno le uniche, sulle quali ragionare per immaginare nuovi strumenti utili da poter utilizzare con prontezza e decisione. Per chi? Beh chiaro, prima di tutto per l’utente finale e poi per i proprietari che, guarda caso, sono le uniche due figure che in un centro fitness ci mettono i soldi oltre che la passione.
È fin troppo facile parlare di cambiamento e fare filosofia del marketing quando i soldi (e le notti insonni) non sono i tuoi.
Sarà complicato. Probabilmente difficile. Ma perché non provare a costellare il nuovo percorso di opportunità invece che rinchiuderci in sistemi che potrebbero rivelarsi ormai non più adatti?
Io due o tre opportunità me le voglio dare.
Buone ferie.



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